Aspetti teorici

A soli diciott’anni nel suo proclama di Arte Spirituale del Boca dichiara: “…nessuno è discepolo, nessuno è maestro. Assenza, eliminazione di pontificamenti, ringalluzzimenti”, a ricordare l’autonomia dell’espressione artistica, che supera ogni vincolo o barriera precostituita.

A distanza di quasi quarant’anni la sua filosofia non cambia. Nell’introduzione al testo di L. Bendit “Lo yoga della bellezza” il suo pensiero teorico, espresso più volte anche in conferenze, trova forma compiuta: la Bellezza “quella forza dinamica spirituale che sola può canalizzare l’umanità verso la sua più alta evoluzione” va sempre e comunque ricercata. Sostiene di non amare l’arte contemporanea, che ha perso di vista la natura, per diventare “testimone del disordine e delle lotte che travagliano l’uomo di oggi”, ma ne accetta ogni manifestazione, se nata dallo sforzo sincero di comprendere qualcosa che va al di là dell’illusione sensoriale, poiché considera più importante il processo creativo del risultato, in quanto presa di coscienza di qualcosa che appartiene alla realtà spirituale. Concepisce l’arte, quindi, non tanto come facoltà dell’anima di risvegliare nell’uomo l’intuizione, ma come elemento strutturale dell’anima stessa, sede di ogni capacità intuitiva e raggiunta nei momenti di spontaneità, grazie ai quali l’artista supera l’immaginazione, un processo mentale che si basa sui modelli del già vissuto.

“Non esiste l’arte per l’arte, se con questo s’intende che debba esistere un mondo d’arte e di bellezza indipendentemente dal modo degli uomini”: nulla prescinde, quindi, dalla terra e da chi ci abita, siano essi giovani, bambini, adulti, elementi della natura che sono le fonti d’ispirazione delle sue opere, scelti perché profondamente amati – in alcuni casi, quasi venerati – in quanto manifestazioni di quella Bellezza, che è per lui vera fonte di vita.


DIPINTI E DISEGNI

La pittura di del Boca è popolata da immagini da interpretare, di allegorie, di contenuti nascosti, di simboli esoterici, ambientati in architetture orientali o di epoca indefinita, quasi prototipi di un mondo futuro, immersi in un’atmosfera rarefatta di pace. Ci sono poi i paesaggi, delicate immagini che richiamano mondi interiori, animati da qualche piccola figura che svela barlumi di antichi ricordi o idee non ancora compiute.
Delle figure si ricordano soprattutto i volti: tante facce di giovani non ancora uomini, nuovi somatotipi destinati ad una razza futura, dai lineamenti dolci e perfetti, dall’incarnato vellutato, labbra carnose, occhi grandi e profondi. Sono personaggi che ci accompagnano in quel mondo dell’inconscio, tutto irrazionale, che qualcuno teme perché non può controllare ma, a chi sa lasciarsi andare, offre visioni d’incanto e di purezza.

Caratterizzati da un forte impianto strutturale dato dal disegno – tecnica in cui l’artista eccelle -, nei dipinti il colore trova una sua giustificazione di armonica costruzione dei volumi. Quando poi è il colore stesso che si fa struttura della composizione, allora si scioglie in profondi sfumati, perché è lì, nel poco definito, nell’ombra, che l’occhio si perde e l’intuizione si risveglia.

Dal punto di vista stilistico, l’artista rimanda alla tecnica del collage quell’interesse per la ricerca di nuovi materiali e mezzi espressivi che hanno caratterizzato tanta avanguardia del secolo scorso. Il mezzo pittorico e l’amore per il figurativo rispondono pienamente alle sue esigenze creative che lo portano ad una produzione che risente del linguaggio artistico milanese dei primi del ‘900, presente nelle immagini nitidamente oggettive dei paesaggi, nel genere della ritrattistica, né aulica né retorica e congeniale alla committenza e nella dimensione arcana e visionaria di certa pittura “scapigliata” che lascia mani libere all’artista, in omaggio al concetto romantico della sua indipendenza.

Partendo da questa premessa, si può dunque ripercorrere a ritroso la lunga scia del movimento romantico, per risalire a quella concezione dell’arte come “visione di eternità” che caratterizza l’opera di William Blake e dei pittori fantastici e visionari dell’Ottocento. Figli di quel movimento che è lo “Sturm und Drang”, essi ponevano l’arte alla guida del pensiero, intendevano l’antico non solo come modello, ma anche come verità interiore, a cui sapevano giungere attraverso canali – tipicamente romantici – della nostalgia, del vagheggiamento, del sogno, della fede più intima e profonda.

L’interesse alle forme di esoterismo trasmesso direttamente nelle opere, così da diventare un valore aggiunto di “mezzo” per conoscere una realtà spirituale ancora ignota ai più, il richiamo all’antico, anche come stimolo di visioni che danno l’avvio ad esplorazioni nei territori del mito, risalendo sino agli archetipi dell’inconscio collettivo: questi sono alcuni degli elementi che ci fanno individuare nel movimento ottocentesco – ed in Blake più che in altri – un richiamo storico-artistico plausibile per la pittura di del Boca. Lo strumento essenziale rimane comunque per lui il realismo, un realismo accademico, affidato all’abilità e alla tecnica e teso a identificarsi col vero di cui coglie l’armonia come contenuto trascendentale: giungere al cuore stesso della realtà al di là dei suoi aspetti esteriori per indicarla come teatro di eventi sconosciuti.


IL COLLAGE

La particolare tecnica acquisita in Oriente, che permette all’artista una rifinitura dell’oggetto “lavorato” a collage che duri nel tempo, diventa per lui strumento di creatività spontanea ed eclettica. Già i surrealisti avevano individuato il valore del collage come stimolo all’arte dell’inconscio, del gioco evocativo, del non-sense più o meno apparente o dissacratorio, dell’accostamento simbolico.

Del Boca crea collages facendo ricorso a tutte queste valenze e ad altre ancora. Utilizza immagini provenienti da riviste, quotidiani, ritagli con scritte, etichette, con l’aggiunta talvolta di piccoli oggetti che attirano la sua attenzione, per creare quadri dal contenuto simbolico, di denuncia, con fini didascalici o di testimone del momento: composizioni spesso caratterizzate da grafismi in oro e argento e da sapienti pennellate di colore che ne amplificano la connotazione evocativa.

Alcuni degli oggetti creati al suo ritorno da Singapore (bauli, scatole, sedie, armadi ecc.), così originali con i loro ritagli di giornale in bianco e nero, con le scritte a mano, con gli inserti d’oro fra innumerevoli etichette, sembrano precorrere tanti filoni di arte concettuale, di poesia visiva o arte povera che più tardi avrebbero rappresentato le correnti più alla moda di quel mondo dell’arte a cui lui fu sempre insofferente.

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