“L’8 maggio, festa del Loto Bianco, ha coinciso quest’anno anche col Plenilunio del Toro, Festa del Wesak. Alle ore 16.30 di questo giorno, don Modesto Platini, Parroco di Cavallirio, ha benedetto la prima pietra del nostro Villaggio Verde con l’acqua benedetta della nostra sorgente…”
Così sul n.19 (maggio – giugno 1982) della rivista “L’Età dell’Acquario” creata da Bernardino del Boca con Edoardo Bresci, cominciava il “Notiziario delle Strade Alte”.
La pietra del Monte Bianco (… il monaco del tempio di Han l’ha caricata troppo …) fu benedetta assieme ad un pane e del sale.
Tutti i presenti, zuppi d’acqua e di commozione, vedevano la prima concretizzazione del loro sogno iniziato qualche tempo prima. Per Bernardino erano invece passati molti anni da quando, nel corso della sua Iniziazione, gli venne affidato tra gli altri il compito di creare un centro, una comunità, dove si sperimentasse un modo di vivere basato sull’Essere e non sull’Avere. Egli percepiva che iniziava un suo gravoso impegno.
Sulla stessa rivista, che non a caso aveva ripreso le pubblicazioni dopo una sospensione di anni, c’era la notizia “Apriamo una nuova dimensione. I Villaggi Verdi” manifesto in cui si comunicava l’inizio della raccolta delle quote di partecipazione alla cooperativa e si elencavano i principi sui quali essa si sarebbe dovuta basare. Di questo periodo, che nella maggior parte dei ricordi è pieno di entusiasmo e di euforia, Bernardino del Boca scrisse, oltre ad articoli pieni di incoraggiamento ai sogni ed alle idealità, anche righe che esprimevano le altre sue sensazioni (… Ho cominciato a raccogliere le quote azionarie per il Villaggio Verde … Giorgio Grati è entusiasta. Ma io percepisco che tutti, inconsciamente, pensano soltanto di fare un affare… Chi è abituato alla negatività come può vivere per ESSERE e non per avere ?…) E chi di noi, ieri come oggi, potrebbe alzare una mano quando si chiede: chi non è abituato alla negatività?
Questa specie di sdoppiamento tra il piano dello spirito e quello della realtà materiale, accompagnerà nel tempo questa sperimentazione.
Vi sono grandi Energie Spirituali che permeano il luogo dove è posto il Villaggio, che vi sono state fatte confluire, che fanno dire a chi ci viene senza già certezze precostituite: “Mi sono sentito proprio bene, mi sembrava di non avere più pensieri, che tutto andasse bene”. Ma ad Esse si sono troppo spesso affiancate enormi difficoltà sul piano pratico, molte volte incredibili, quasi incomprensibili.
È ben vero del resto che dove si trovano Energie positive si accaniscono gli ostacoli.
Ma allora il clima era di grande euforia, l’Utopia sembrava camminare tra gli uomini, da un momento all’altro ci si aspettava che i lampi ultravioletti degli Zoit (… ora non ti devi chiedere CHI sono gli ZOIT, ma DOVE sono gli ZOIT. Se LI chiami ti risponderanno …) illuminassero le notti di tutti.
Da mesi parecchie persone si erano sparpagliate tra biellese, novarese, monferrato, canavese, per cercare “il Luogo”, il posto dove sarebbe potuto nascere il Villaggio. E quando ritenevano di aver trovato quello adatto ne parlavano con Bernardino e, in alcuni casi, lo accompagnavano a vederlo. Il progetto delle costruzioni era stato fatto da Giorgio Grati che, allora, era per tutti l’architetto Grati. Nei primi disegni che cominciarono a circolare la struttura era un tronco di cono, cavo, con più piani. Al piano terra dovevano esserci gli spazi comuni ed ai piani superiori gli appartamenti privati, tutti dotati di grandi balconi dove potessero collocarsi delle piante di modo che, all’esterno, desse l’impressione di una sorta di collina. All’interno si trovava un laghetto che avrebbe contribuito a creare un microclima privo di grandi sbalzi di temperatura. Qualcuno mormorava addirittura che la struttura si sarebbe poi prestata a decollare. Nonostante ciò questo progetto venne presto abbandonato per ridursi ad un più semplice circolo di abitazioni private poste su due piani, giorno/notte, di circa 50 metri quadri ognuna.
Il tutto si pensava di realizzarlo in maniera autonoma grazie al lavoro di volontari coordinati da alcuni esperti. Una parte dei volontari, che voleva acquistare abbastanza quote della Cooperativa da aver diritto all’assegnazione di un “modulo”, così erano chiamate le abitazioni, ma non aveva sufficiente denaro per farlo, avrebbe fornito lavoro per giungere a completare la somma. Cominciarono così a circolare fogliettini con scritto UT, Unità Tempo, alle quali venne assegnato un controvalore in tempo di lavoro ed in soldi. La gestione delle UT si rivelò presto, però, piuttosto approssimativa e fonte, a volte, di discussioni. Fondi, in ogni caso, se ne raccoglievano abbastanza, frutto di donazioni, “decime”, ricavi delle vendite di collages, disegni, quadri fatti da del Boca.
Nel frattempo, in qualche modo le fondamenta vennero scavate ed i primi pilastri innalzati. Il Villaggio cominciava a prendere forma.
Ma il 14 dicembre 1982 giunse un’ordinanza di sospendere i lavori ed abbattere ciò che era stato eretto. Per Bernardino del Boca fu un periodo molto difficile anche sul piano familiare, dal momento che in quei giorni morì la sorella Aminta, con la quale viveva in quegli anni.
Seguirono anni tormentati, con molte difficoltà burocratiche e non solo. La costruzione, seppur a rilento, fu ripresa. Ma le pene non erano terminate. Si scoprì che la contabilità della Cooperativa non era corretta e mancava molto del danaro che si riteneva ci fosse a disposizione. Coloro che avevano versato una cifra sufficiente per aver diritto ad un modulo dovettero aggiungere altri soldi o rinunciare. Alcuni persero tutto ciò che avevano dato. La cooperativa si trasformò da edilizia in agricola, del Boca si dimise da Presidente (restò Presidente Onorario) e subentrò nella carica Maurizio Castagnetti, con le persone che insieme a lui partecipavano al gruppo Yoga. Fu un periodo di grande attività pratica, tutti erano molto impegnati ed i primi 16 moduli vennero portati a termine. Le prime famiglie giunsero ad abitare. Mentre si pensava alle varie coltivazioni sperimentali che si sarebbero potute avviare sembrava che, a quel punto, tutti i sogni si sarebbero potuti realizzare.
Non fu del tutto così. La storia del Villaggio ha ripercorso in pochi anni, la storia, molto più lunga, di quelle comunità che lentamente si costituirono, crebbero, ebbero una qualche notorietà e, a poco a poco, con la gente che andava verso le città a cercare lavoro, si spopolarono, e solo da qualche tempo stanno ritrovando estimatori.
Una comunità con i suoi momenti buoni e quelli meno, con le tante cose fatte e quelle che ancora attendono, con i momenti in cui il posto era affollato di persone festanti e quelli di strade ghiacciate e deserte. Una comunità che dal nulla si è creata, si è sviluppata, si è in parte dispersa ed ora sta ricominciando a ricostituirsi attorno ad alcuni tra coloro che, fin dall’inizio, vi hanno abitato, ed alcuni tra quelli che, non potendo risiedervi per motivi vari, sono sempre stati presenti appena possibile.
La morte di Bernardino, nel dicembre 2001, è stata il momento in cui più difficile fu rispondere alle domande: “Chi siamo? Perché siamo qui? E ora cosa faremo?”. Ma è stata anche il momento che ha reso più ferme certe persone nel proposito di andare avanti.
Resta una cosa ancora da dire per quanto riguarda l’aspetto spirituale, che è stato ed è il pilastro su cui poggia l’idea stessa di Villaggio. Fin dalla posa della prima pietra ci sono stati gesti che hanno inteso riconoscere le energie presenti ed apportarne di ulteriori. Ancor prima che tutti i lavori fossero completati Bernardino del Boca fece arrivare dalla Thailandia un Tempietto dei Phi (gli Spiriti Elementari), che collocò proprio dove la strada di ingresso si apre davanti ai moduli, in modo che chiunque arrivi o esca vi passi davanti e possa ricordarLi. Il Tempietto è stato poi ricoperto da un gazebo in rame dove i Naga (Serpenti) hanno la loro eterica dimora. Sulla sponda del laghetto interno fu collocato, con grande fatica, un masso proveniente dalla Val di Rhémes che reca ancora su di sé i segni di quando la montagna si formò. Fu eretta una piramide di bottiglie sulle quali ognuno scrisse con inchiostro dorato il suo nome e quello di coloro cui era legato. Si issò un “palo vibratore” ispirato a quelli che gli alchimisti birmani pongono per armonizzare i luoghi. Molti tra i frequentatori portarono e sparpagliarono ovunque le pietre raccolte durante i viaggi, quale modo di collegare luoghi lontani. Nel tempo si sono celebrate cerimonie sacre di tante tradizioni differenti e si è pregato in svariate maniere.
Se prendiamo in considerazione anche solo il periodo che va dalla posa della prima pietra ad oggi, sono transitate in questo luogo innumerevoli persone. Chi è rimasto, chi dopo un po’ è ripartito, chi vi ha passato una sola ora. Alcuni di coloro che erano presenti a quella cerimonia sono morti, così come alcuni di coloro che, per anni, hanno seguito le conferenze di del Boca. Giovani o meno. Così è stato anche per numerosi animali, cani, gatti, cavalli, anch’essi parte della comunità.
I cicli si susseguono. Ma i nomi di tutti loro restano scolpiti nell’aria, più incisi che nella roccia. Nessuno è dimenticato, così come non è stato dimenticato lo sciamano neolitico Urkut, né il Baiardo, il cavaliere senza macchia e senza paura. Tutti continuano ad essere “Villaggio Verde”.
I sogni non svaniscono, attendono il tempo di realizzarsi. Un tempo che non è scandito dai nostri calendari.
E le Energie continuano a sfiorare l’Anima di chi passa al Villaggio.